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Aiutiamo le imprese a crescere.

Agevolare il consolidamento tra le PMI italiane per fare evolvere il settore. Gli obiettivi di FIAP spiegati dal segretario generale Alessandro Peron

| Pubblicato in Organi di Informazione
Aiutiamo le imprese a crescere Rivista Logistica Gennaio 2023 n.1

Articolo tratto dalla Rivista Logistica – Gennaio 2023 n.1

Su 80mila imprese di autotrasporto italiane 78mila hanno meno di 25 dipendenti: “Non possiamo pensare che un settore così strategico per l’economia nazionale possa continuare a basarsi su tale polverizzazione”, Alessandro Peron, Segretario Generale della Federazione Italiana Autotrasportatori Professionali, punta rapidamente al sodo e invita a fare i conti con la realtà per modificare radicalmente l’approccio che la committenza ha avuto con i fornitori del trasporto su strada, modalità ancora di gran lunga prevalente in Italia rispetto ad altre economie europee. 

Si è preferito per tanti anni avere a che fare con una miriade di padroncini per approfittare della loro flessibilità, ma le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti. Molti sono stati costretti a chiudere e adesso manca un’offerta adeguata di trasporto su gomma che costringe la committenza a rivolgersi alle grandi aziende straniere che le tariffe le alzano eccome. Sarebbe stato meglio aiutare quelle italiane a crescere migliorando tra l’altro l’organizzazione del lavoro alle ribalte che fa perdere ancora troppo tempo a chi deve essere pagato per guidare, non per girarsi i pollici. Le cose devono cambiare e noi intendiamo fare la nostra parte perché questo avvenga”.

Un fenomeno tutto italiano

FIAP, che raccoglie soprattutto medie imprese con flotte che vanno dai 15-20 camion ai 500-600, ha vissuto un importante periodo di trasformazione e ha seguito i cambiamenti che hanno interessato l’autotrasporto. “Vogliamo aiutare le imprese a crescere, favorendo un processo di consolidamento che porti il made in Italy a svincolarsi dalla necessità di ricorrere ai soliti big della logistica mondiale nella richiesta di servizi di spedizione e trasporto”. 

Noi non abbiamo campioni nazionali in questo settore e se ne avverte sempre più la mancanza se si vuole competere ad armi pari a livello globale. Per ottenere questo risultato è a quelle 2mila che noi consideriamo grandi imprese che bisogna guardare. Tenendo conto che su scala internazionale un’azienda di trasporto con 500 dipendenti o 500 camion è ancora considerata piccola. Il padroncino, proprietario del mezzo che guida, è un fenomeno tutto italiano”.

Piccolo non è più bello

Troppo a lungo – continua Peron – si è sostenuto il principio del piccolo è bello, ma non funziona più. Molti distretti industriali che hanno prosperato con il modello di fabbrica a rete, tanto in voga negli anni ’90, stanno gettando la spugna e hanno ceduto anche tante PMI che producevano conto terzi per la Germania, scalzate dalla concorrenza prima dell’Est Europa e poi della Cina”. 

E’ questo che ha messo in crisi anche la figura del padroncino sviluppatasi come elemento di flessibilità per una committenza distribuita sul territorio. “Bisogna aiutare i padroncini a rimanere sul mercato seguendo strade diverse. Come FIAP consigliamo ai grandi autotrasportatori di stringere rapporti di partnership con le imprese minori offrendo loro servizi finanziari e di assistenza che altrimenti non potrebbero permettersi. Agendo così presenterebbero sul mercato flotte più consistenti. Altri padroncini potrebbero costruire forme consortili che consolidino l’offerta”. 

L’obiettivo da raggiungere

Altri ancora, una parte di quei 78mila, potrebbero smettere di figurare formalmente come imprenditori indipendenti quando in realtà emettono fatture sempre per lo stesso cliente. In definitiva, dovendo come minimo competere a livello europeo in maniera chiara, affidabile e sostenibile, secondo FIAP è necessario che le imprese più strutturate smettano di far gravare sul padroncino tutti gli elementi negativi della flessibilità anche se non è facile compiere questo salto di mentalità.

Se si lavorasse al raggiungimento di questo obiettivo si ridurrebbe ancora di più il fenomeno dei viaggi a vuoto o della scarsa saturazione dei vani di carico. Riprende Peron: “il padroncino che continua a lavorare a livello individuale ha pochi clienti e quindi minori possibilità di effettuare il viaggio di ritorno carico. Se invece fa parte di un consorzio o ha stabilito una forma di partnership con una grande imprese di autotrasporto questo problema si risolve”.

Peron sdrammatizza la questione autisti che ritiene più un problema dell’industria che dell’autotrasporto: “in un periodo come questo, caratterizzato da una domanda di trasporto superiore al passato, che provoca una carenza di offerta perché non vi sono autisti a sufficienza, le tariffe devono aumentare, le imprese di trasporto devono farsi pagare di più. Ritengo finito il lungo periodo durante il quale il prezzo del servizio lo faceva il cliente. Di mancanza degli autisti se ne parla tanto adesso perché il problema è particolarmente sentito dalla committenza che vorrebbe sempre poter contare su un’offerta vasta, tale da calmierare le tariffe. Ma sulla debolezza dell’offerta incide pure la mancanza di camion. Per averne uno nuovo bisogna aspettare anche 18 mesi”.


E la Carta di Qualificazione del Conducente? Averla introdotta, con i costi che comporta, non ha allontanato i giovani dalla professione? “No. Non è il costo a pesare se si considera che prendere una laurea costa sui 30mila euro e si rischia di lavorare a 1.500 al mese, mentre la CQV ne costa 5mila e se ti metti al volante ne porti subito a casa 2.500 netti”, risponde Peron. 

Una professione incompresa

Il problema risiede piuttosto nella scarsa attrattiva esercitata dalla professione. Molti percepiscono quella del camionista come una figura disordinata, associata al bar, alla trattoria, all’area di servizio malmessa. Imprese, politica e associazioni non sono mai riuscite a raccontare che cosa c’è dietro il trasporto e la logistica: tecnologia, competenze professionali e ruolo economico e sociale enormi se si pensa a che cosa è stato fatto per il sistema durante la pandemia Covid-19, quando si stava confinati in casa e a far avere il necessario erano camion e furgoni che percorrevano senza sosta il territorio. L’autista non si limita più a guidare: sovraintende al trasferimento del container dal camion alla nave, si assicura che il carico sia fissato in tutta sicurezza, gestisce dalla cabina la documentazione digitale riguardante il viaggio, decide un itinerario scegliendolo tra le alternative presentate dalla navigazione sul web, insomma svolta un’attività del tutto diversa dagli stereotipi diffusi”. 

I margini di miglioramento

Vedo, inoltre, ampi margini di miglioramento che dipendono soltanto da una diversa organizzazione del lavoro nei punti di carico e scarico, dove talvolta le attese per l’autista sono ancora troppo lunghe. Qui conta il fatto che la committenza è abituata a pagare il servizio di trasporto a chilometro e non a tempo, come se l’autista fermo alle ribalte potesse disporre della sua vita come meglio crede. Invece non è così e ci si deve dare tutti da fare perché questo sistema cambi radicalmente cominciando a offrire all’autista ambienti adatti in termini di servizi alla persona quando è comunque impegnato in un’attività lavorativa che in caso contrario diventa inutilmente causa di stress”.

I motivi di tutto questo per il Segretario Generale FIAP sono chiari: “L’industria ha sempre preferito contare su microimprese di trasporto sulle quali scaricare una richiesta di flessibilità eccessiva, alla quale il padroncino non poteva sottrarsi. Di conseguenza ha trattato la logistica e il trasporto come figli di un Dio minore, cercando di pagare poco i servizi. Lo dimostra anche il diffuso ricorso alle cooperative per la gestione dei magazzini, con risultati spesso discutibili nella gestione delle attività”. 

Le tariffe devono aumentare

L’Italia è insomma ancora indietro su questi fronti e ciò contribuisce a tenere lontano i giovani dalle pressioni logistiche.

Bisogna uscire al più presto dal concetto che il trasporto deve essere pagato poco o nulla, come accaduto nel food delivery che si è a lungo affidato per stare in pieri al lavoro povero di chi non aveva altra scelta”.

Le tariffe dovranno aumentare anche perché secondo Peron dallo Stato non si potranno ottenere con la generosità del passato sgravi fiscali, sconti sui pedaggi, incentivi per la rottamazione e sostegni vari. Continuando a “stressare” gli autotrasportatori l’industria italiana non ha capito che avrebbe finito col far del male a se stessa impedendo il formarsi di campioni nazionali per distribuire i prodotti presto e bene in tutto il mondo. “Comportamento analogo ha tenuto la politica che ha preferito erogare finanziamenti a pioggia anziché stimolare una sana crescita delle migliori imprese. Un’azienda di autotrasporto ben strutturata non può permettersi di tenere fermo per ore un camion alle ribalte del cliente che, spesso, terziarizza la gestione del magazzino con l’obiettivo principale di ridurre i costi e non di ottimizzare le operazioni”. 

L’Osservatorio T.C.R.

Stato ed enti locali dovranno avere un diverso atteggiamento verso la logistica e il trasporto ma anche sul versante infrastrutture: “Non si deve pensare solo alle strade, ma anche ad aree di sosta e nelle città ad aree logistiche dove fermare i furgoni che consegnano la merce ordinata sul web”.

Quanto fin qui esposto non deve far dimenticare che tra le 80mila aziende che formano il settore alle prese con così tanti problemi ve ne sono di più e di meno affidabili. E’ nato per questo l’Osservatorio T.C.R. sull’autotrasporto, un progetto molto importante volto a costruire un rating delle aziende di trasporto su gomma. “Nacque – ricorda Peron – in corrispondenza dell’informatizzazione dell’Albo dell’Autotrasporto che dava la possibilità ai committenti di controllare la regolarità delle imprese in maniera tale da scegliere il proprio fornitore di servizi con raziocinio. In sostanza chi per risparmiare avesse scelto un autotrasporto non del tutto in regola si sarebbe assunto una responsabilità in caso di incidenti, negligenze, contributi non versati o altro”.

Un modello di selezione

Avevamo presentato l’iniziativa presso Confindustria, dove trovammo particolarmente attenti a questa novità i responsabili della logistica di Ferrero che si domandavano proprio quali rischi potevano correre affidandosi a un vettore piuttosto che a un altro. Ne nacque un primo sondaggio sperimentale su una decina di aziende disponibili a svolgere un lavoro d’indagine sulle aree più critiche per migliorarle, dopo di che elaborammo un rating concordando di renderlo disponibile ad altre aziende interessate sia sul versante della committenza sia sul versante fornitori dei servizi di trasporto. Si tratta in definitiva di un modello di selezione del fornitore utile sia per l’industria committente sia per l’azienda di autotrasporto che, seguendone le indicazioni, può migliorare effettivamente la sua offerta. Entrambe le parti sono a conoscenza dei parametri da tenere sotto osservazione, ragion per cui l’autotrasportatore può procedere a un proprio check-up in maniera tale da rendere la sua offerta coerente con le attese del potenziale cliente”.

Dall’altra parte il committente può contare su una valutazione terza che può tirare in causa dovesse insorgere qualche problema in maniera tale da poter affermare di aver fatto quanto in suo potere per verificare l’affidabilità dell’impresa scelta. L’iniziativa ha avuto successo, tanto che oltre a Ferrero sono divenuti soci dell’Osservatorio Barilla, Conad, Iper, Bayer, Campari, e molti altri.. Ora i committenti possono basare le loro scelte su una cinquantina di vettore che hanno ottenuto la certificazione, ma già un altro centinaio si sta sottoponendo alle verifiche per ottenerla”.

L'articolo completo è su Logistica

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