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Quattro chiacchiere con Alessandro Peron, segretario generale di FIAP: dare valore al trasporto

| Pubblicato in Organi di Informazione
Il Giornale della Logistica

Intervista a cura della Redazione de Il Giornale della Logistica.

Aumento del costo del carburante, carenza di autisti, polverizzazione delle imprese secondo il segretario generale della FIAP Alessandro Peron sono “la febbre” di un settore che va curato nel profondo. Con strategia, collaborazione e lungimiranza

Durante la pandemia le imprese dell’autotrasporto si sono fatte carico di una grande responsabilità, dovendo lavorare in condizioni, spesso, estreme. Ora la guerra in Europa esacerba debolezze e criticità di un settore già fragile. Come se ne esce?
Facendo un passo indietro e andando a cercare l’origine delle problematiche attuali. Se ci limitiamo a considerare i sintomi, riusciremo al massimo ad abbassare la febbre, non certo curare la malattia.

Qual è la malattia di cui soffre l’autotrasporto nel nostro Paese?
Il punto è questo: le criticità riguardano il Sistema Italia e non sono esclusive di questo settore che vive una dicotomia. Da una parte crede di essere particolarmente sfruttato – il che è vero –. Dall’altra, però, è un settore strategico, direi il settore dei settori.

Questo status da cosa dipende?
Da un presupposto fondamentale: la libera circolazione delle merci è un bene primario che ogni Stato deve garantire. Primario al punto che, in passato, era dato in concessione dallo Stato, il quale ne definiva le tariffe secondo il metodo cosiddetto a forcella, indicando massimali e minimali.

Perché questo concetto è fondamentale?
Perché è qui che si è innescato un vizio, non solo di forma. I professionisti del trasporto dovrebbero essere imprenditori ma, di fatto, non lo sono: avere la partita IVA, spesso usata dalle aziende per rendere variabile il costo, ritenuto troppo elevato, di un dipendente, non è un requisito sufficiente. L’imprenditore è una persona che investe il proprio capitale per costruire un’azienda che deve dare ricchezza a sé e alla società su cui opera.

Oggi però il mercato è liberalizzato.
Purtroppo, liberalizzazione del mercato è stata confusa con anarchia. E invece di un mercato leale e regolamentato entro cui ogni imprenditore possa operare, si è preferito scegliere la strada degli aiuti, dei finanziamenti a pioggia per sostenere costi e investimenti anche di aziende irregolari.

Con quali effetti?
Che la maggior parte degli imprenditori del settore non ha avuto la possibilità di fare il salto. Che in un contesto dove è il committente a decidere le regole di ingaggio, molti imprenditori non solo non determinano la tariffa, ma neppure hanno la consapevolezza dei propri costi, restando così, di fatto, subordinati alla committenza.

Parliamo della committenza: che ruolo ha in questa dinamica viziata?
La convenienza per i clienti è evidente. Altrettanto evidente dovrebbe però esserne la miopia. Una miopia condivisa con le Istituzioni che non hanno favorito l’aggregazione delle aziende in un settore che oggi è polverizzato e che non ha gli strumenti per affrontare un’attualità così critica.

Il vero salto da fare, quindi, secondo lei è culturale?
Bassa marginalità, tempi di pagamento, aumento dei costi, concorrenza sleale sono, tutto sommato, problemi comuni a tutti i settori. A fare la differenza è il modo in cui vengono affrontati. Se si punta tutto sul ribasso del prezzo c’è sempre qualcuno che costerà meno di te. Per cui sì, quando la forza contrattuale di un comparto è bassa, il problema è culturale, oltre che dimensionale.

Ci può dare qualche numero della polverizzazione del settore?
Su 81.000 imprese iscritte all’albo con almeno un veicolo, quelle che hanno più di 100 mezzi sono circa 800. Quelle dai 50 ai 100 mezzi circa 1.400, mentre le aziende con meno di 20 mezzi sono circa 74.000. Queste ultime hanno una capacità di fatturato troppo bassa per essere competitive in un contesto globale.

Un dato per nulla rassicurante.
E lo è ancora meno se pensiamo che dietro a una società unipersonale che fa fatica, che al 20 del mese ha già finito il plafond concesso dalla banca per pagare il costo del gasolio, che quindi è costretta a contrarre debiti, ci sono spesso situazioni familiari drammatiche.

Il trasporto, si diceva, è un asset strategico.
Per questo la miopia di Stato e committenza è ancora più grave: senza un sistema logistico e trasportistico forte, non è possibile vincere la sfida sul mercato. E a dimostrarlo è il successo planetario del numero uno dell’ecommerce.

Un benchmarck che non è per tutti…
Sicuramente, ma il concetto non è certo nuovo. L’Impero Romano deve la sua longevità proprio alla logistica e alla velocità di spostamento delle sue truppe, ancora oggi ineguagliata.

Torniamo al presente: quali sono le sfide che non possiamo permetterci di perdere?
Rendere le aziende del made in Italy capaci di esprimere il proprio potenziale e la propria vocazione all’export. Puntare sulla posizione strategica del nostro Paese nel Mediterraneo e nel suo essere un ponte naturale sull’Africa. In poche parole, dare valore al settore della logistica e del trasporto.

Che ruolo hanno le associazioni di categorie in questo contesto?
A differenza di quanto avviene in altri Paesi, in Italia manca una rappresentanza forte del comparto dell’autotrasporto. Ed è un altro paradosso.

In che senso?
La mancata consapevolezza di sé impedisce la crescita e, quel che è peggio, favorisce la ripetizione degli stessi errori. In qualsiasi altro settore, la crescita dei costi porta fisiologicamente a un aumento delle tariffe.

Non nell’autotrasporto…
Chi non riesce a ribaltare il costo, tipicamente le aziende meno strutturate, chiede aiuti allo Stato e, nel frattempo, si indebolisce sempre di più. Ma l’indebolimento e la fragilità rendono, purtroppo, la via dell’illegalità un’opzione percorribile per restare a galla in una continua corsa al ribasso dei prezzi.

Il tema della marginalità è cruciale: c’è una via di uscita?
Quella della cultura e della responsabilità di filiera, che riguarda tutti gli attori. Comprare un prodotto contraffatto è un reato: è evidente. La stessa evidenza deve esserci quando si acquista un viaggio palesemente sottocosto, alimentando la concorrenza sleale.

La carenza di autisti – si parla di 400.000 professionisti in tutta Europa – dovrebbe però essere un bagno di realtà per la committenza.
Molte aziende, ora, sono disposte a pagare qualsiasi prezzo per un trasporto. Ma questo serve solo ad abbassare la febbre, non certo a curare la malattia. Per farlo occorre considerare il trasporto e quindi anche tutte le funzioni aziendali ad esso collegate – penso al supply chain manager, al transport manager – al centro delle strategie aziendali.

In pratica?
Pensare che le aziende di trasporto siano veri e propri partner, da gestire secondo un approccio collaborativo, che possa favorire la crescita e anche l’aggregazione.

Questo non dovrebbe essere compito di un’associazione come FIAP?
Precisamente. Il nostro principale obiettivo è quello di trasformare realtà che si considerano, erroneamente, artigiane, in realtà imprenditoriali vere e proprie.

Qual è l’associato tipo di FIAP?
Le dimensioni aziendali e il numero dei mezzi non contano. A unire tutti gli associati è la voglia di dedicare risorse e tempo alla crescita. Partendo dalla comprensione delle aree critiche e mostrando propensione al cambiamento, anche radicale. Le faccio un esempio.

Prego...
Stiamo chiedendo alle aziende di allentare l’abituale focus, anche iconografico, sul camion, secondo l’idea che le aziende di trasporto abbiano il compito di far girare la merce nelle diverse modalità gomma, mare, ferro, che non vanno pensate come contrapposte ma complementari. Chi ha adottato questo approccio, come la F.lli Primiceri Trasporti, ha raggiunto ottimi risultati trasferendo su rotaia il 70% del navettaggio tra Puglia ed Emilia-Romagna precedentemente gestito su gomma, e migliorando servizio ed efficienza.

L'articolo è completo è disponibile in allegato e su IL GIORNALE DELLA LOGISTICA.

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